Una storia NON come le altre

Costruire reti sociali ed inclusive nella formazione professionale si può.

Tra le tante storie che raccontiamo nella formazione professionale del Cnos – Fap Regione Lazio ce n’è una di questi giorni, ma non è come le altre. I numeri potrebbero essere simili e la qualità del corso rispondere agli standard che con passione e professionalità mettiamo in campo da anni: un corso per panificatori, 60 ore di formazione e 20 di stage in azienda, esame finale ed un attestato di partecipazione, ma non è un corso come gli altri. Sei ragazzi che studiano i lieviti, le procedure per la realizzazione di squisite pizze, focacce, brioche… ma il corso non è come gli altri. Cosa cambia?

La novità che ci spinge a sognare sempre più in grande e raccontarlo con grande gioia e gratitudine è che questo corso, con una vera pedagogia sartoriale, è stato cucito addosso a 6 persone con disabilità afferenti al Dipartimento di Salute Mentale ASL ROMA 2 e promosso dal Centro Diurno di Villa Lais .

La sinergia con questo servizio è nata lo scorso anno in occasione della prima edizione del Festival” ROMENS” dedicato alla Salute Mentale e alla lotta verso il pregiudizio e lo stigma.

Questo nuovo partner, non è nuovo al tema della formazione: in collaborazione con la cooperativa Manser e su finanziamento del Dipartimento delle Politiche Sociali del Comune di Roma realizza percorsi terapeutico/riabilitativi di preformazione al lavoro .

Infatti il lavoro ha un valore terapeutico in sé. Questa comune visione ci ha “lanciato” ad immaginare con loro uno scenario terzo, nell’ottica della personalizzazione dei processi formativi e terapeutici, consapevoli del fatto che il percorso di preformazione a volte necessita e si arricchisce del contributo di “specialisti della formazione” .

Perché un centro diurno può fare moltissimo per molti, ma non può rispondere a tutto.

La personalizzazione si dipinge così di sfumature innumerevoli, che nessun ente sarebbe capace di cogliere nella propria gamma di possibilità, da solo: ecco il bisogno di una rete.

Una rete non solo accogliente, capace di far annusare un mondo ad un’utenza così.

Una rete non solo integrativa, che avvicina a standard che rimangono chimere nel percorso di una persona con disabilità.

Una rete inclusiva, in cui ognuno ha il suo posto, e sociale, che renda protagonista ogni cittadino, nel suo agire professionale, di questo processo di inclusione.

Ma come rispondere nella fragilità a quelle richieste di competitività e complessità di un mercato mai uguale a se stesso, in continua trasformazione, che punta sempre più a softskill e sempre meno a procedure standard? In cui lo stress e la produzione, normative e contratti, non riescono a tutelare il lavoro ordinario, figuriamoci quello “speciale”?

La risposta è una sola: formazione. La formazione può diventare quel punto di incontro e personalizzazione tra il lavoro e la persona, se progettata con sapienza ed esperienza, professionalità e competenza. Situata in un reale contesto professionale, graduale per zone prossimali di sviluppo, alla scoperta “di quel punto accessibile al bene”, come diceva Don Bosco, solo così sarà realmente inclusiva.

“Dopo anni di terapia, è la prima volta che vedo un sorriso a quel ragazzo che impasta il pane”, queste le parole di un operatore, che spiegano meglio di tante teorie il benessere di quel utente che si sente al proprio posto, in un mondo che accompagna, quello della formazione professionale salesiana. Questo luogo di apprendimento, crescita e benessere, non sarà sicuramente il margine più esterno del lavoro quotidiano, ma è un bel passo fuori dal Centro Diurno e per una persona di questi mondi, trovare un nuovo posto dove “saper agire”, non è cosa da poco.

Così, nel mondo del lavoro, forse qualcuno di questi allievi ci arriverà, o forse no, ma, sicuramente, il loro benessere trovato non dipenderà da questo.

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